Una importante funzione dei rivelatori è quella di misurare la carica e la quantità di moto (o impulso) che aumenta con la massa e la velocità delle particelle.
Per questo scopo vengono utilizzati dei campi magnetici che sono in grado di curvare le traiettorie delle particelle cariche.
Fig. 1: Sinistra: particelle con carica elettrica positiva e negativa curvano in direzioni opposte attrversando lo stesso campo magnetico. Destra: maggiore è l'impuso di una particella, minore è la curvatura nel campo magnetico.
L'entità della curvatura è inversamente proporzionale all'impulso (a parità di massa più le particelle sono veloci meno vengono curvate): la misura della traiettoria ci permette quindi di risalire all'impulso. I campi magnetici vengono utilizzati sia nella parte più interna del rivelatore, per misurare gli impulsi delle centinaia di particelle cariche che si sprigionano dal punto di interazione, sia nella parte più esterna per misurare gli impulsi dei muoni, particelle simili agli elettroni ma circa 200 volte più pesanti ed in grado di attraversare grandi spessori di materia perdendo poca energia. Il rivelatore ATLAS è caratterizzato da un imponente apparato per la rivelazione dei muoni, composto da 8 enormi bobine superconduttrici poste all'esterno nella regione laterale che producono un campo magnetico in aria fino a 20000 volte più intenso di quello terrestre.
Gli apparati sperimentali che operano all'LHC sono stati costruiti per
lavorare in condizioni estremamente complesse. Quando LHC funzionerà
stabilmente nelle condizioni di progetto ci saranno circa un miliardo di collisioni di protoni per secondo, che produrranno una quantità di dati pari a 20 telefonate simultanee di ogni abitante della terra!
La gestione di una quantità di dati così impressionante richiede un hardware ed un software estremamente veloci ed efficienti. Gli eventi interessanti che vengono registrati per successive analisi più dettagliate sono infatti soltanto uno ogni dieci milioni.
Le diverse componenti del rivelatore sono specializzate nella misura di particolari proprietà delle particelle. Una singola particella non sarà visibile fino a quando non avrà una interazione misurabile all'interno del rivelatore oppure non decadrà in particelle visibili.
Fig. 2: L'interazione di varie particelle con differenti componenti del rivelatore
La figura qui sopra illustra in modo semplificato i diversi tipi di rivelatori che le particelle attraversano allontanandosi dal punto di interazione. La regione più vicina all'interazione è occupata dai tracciatori (che ricostruiscono le tracce delle particelle), immersi in un campo magnetico per la misura del loro impulso (zona celeste). Successivamente c'è la regione dei calorimetri che assorbono le particelle interagenti mediante l'interazione elettromagnetica
(calorimetro elettromagnetico, zona rossa) e forte (calorimetro adronico, zona verde) misurandone l'energia. Oltre i calorimetri arrivano soltanto i muoni, che vengono rivelati in questa regione utilizzando campi magnetici (zona blu) ed i neutrini che invece passano indisturbati portando via energia che risulta quindi inosservabile.
Più in dettaglio possiamo notare:
le particelle cariche come elettroni e protoni possono essere rivelate sia dai tracciatori più interni che dai calorimetri.
Le particelle neutre come neutroni o fotoni non possono essere viste dai tracciatori e diventano visibili solo quando interagiscono con i calorimetri. In particolare i fotoni sono visibili dal loro deposito di energia nel calorimetro elettromagnetico, mentre i neutroni sono evidenziati da depositi nel calorimetro adronico.
Ciascun tipo di particella ha una propria segnatura (“firma”) caratteristica, per esempio se un fisico rivela una particella soltanto nel calorimetro elettromagnetico, può ipotizzare con ottima probabilità di successo che si tratti di un fotone.
Anche l'esperimento ATLAS è strutturato secondo questo schema tipico.