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Macchine molecolari artificiali

L'idea di costruire macchine molecolari artificiali è stata avanzata nel 1959 da Richard P. Feynman, Premio Nobel per la Fisica, ma evidentemente, a quel tempo, la comunità scientifica non era pronta per intraprendere una tale avventura, dal momento che si sono dovuti aspettare vent'anni per avere i primi concreti tentativi di progettazione e costruzione di macchine molecolari. L'idea di Feynman fu ripresa da K.E. Drexler, che dopo un primo libro del tutto fantascientifico dal titolo "Engines of Creation", affrontò il problema in maniera più scientifica, ma sempre molto astratta. Il concetto base di Drexler riguarda la possibilità di costruire un robot di dimensioni nanometriche, cioè un nanorobot denominato "assembler", che dovrebbe essere capace di costruire, atomo-per-atomo, qualsiasi cosa, compreso repliche di se stesso. Questa possibilità di procedere alla costruzione di macchine molecolari atomo-per-atomo non è condivisa dai chimici che la considerano assolutamente non realistica. I chimici, infatti, sanno che gli atomi sono specie molto reattive e quindi non possono essere "presi" da un materiale e "portati" su un altro, come fossero semplici mattoni. In altre parole, il processo di costruzione dal basso "atomo-per-atomo" trascura la complessità e le difficoltà di rompere legami chimici e formarne dei nuovi.

I chimici pensano, invece, che la costruzione dal basso di congegni e macchine a livello nanometrico si possa e si debba fare partendo da molecole precostituite (approccio "molecola-per-molecola"). Essi sanno anche che sarebbe folle cercare di imitare quanto avviene in Natura, dove le macchine molecolari si formano per autoassemblaggio e sono di una complessità incredibile. Quello che si può fare nel campo delle macchine artificiali è progettare e costruire sistemi molto semplici, costituiti da pochi componenti molecolari. La fase della progettazione è, ovviamente, la più delicata e non può prescindere dalle caratteristiche generali delle macchine molecolari. Alcune di queste caratteristiche, e precisamente quelle relative al controllo della macchina, ai segnali per verificarne il funzionamento, alla necessità di avere un comportamento ciclico e alla verifica dei tempi di lavoro, sono legate a problematiche che il chimico è in grado di affrontare con molta padronanza; sono, invece, molto più critici gli aspetti che riguardano l'energia, i movimenti e le funzioni.

Fig. 1: Una pinza a livello molecolare azionata dalla luce ed una sua rappresentazione schematica.
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Credit: Gruppo di Fotochimica e Chimica Supramolecolare, Università di Bologna)
Uno dei primi esempi di macchina molecolare artificiale, basata su un solo componente e su una reazione chimica molto semplice, è illustrato in Fig. 1. Si tratta di un sistema costituito da due molecole ad anello collegate ad un'unità centrale che può cambiare struttura per assorbimento di luce di appropriata lunghezza d'onda. Quando una soluzione contenente questo sistema viene illuminata, il cambiamento di struttura dell'unità centrale causa l'avvicinamento dei due anelli laterali, che possono così racchiudere uno ione di dimensioni opportune. Utilizzando luce di un'altra lunghezza d'onda si può ottenere il processo inverso con conseguente rilascio dello ione. Questa azione meccanica è paragonabile a quella di una pinza di dimensioni nanometriche che, in un futuro non troppo lontano, potrebbe portare alla costruzione di sistemi capaci di "ripulire" l'organismo o l'ambiente da sostanze dannose.

Recentemente sono state ottenute grandi molecole aventi struttura ramificata ( dendrimeriDizionario) dove la parte più esterna dei "rami" è formata da unità simili a quella centrale dell'esempio precedente. Sotto l'azione della luce, il cambiamento di struttura delle unità periferiche provoca, almeno parzialmente, la chiusura/apertura del guscio esterno della molecola (Fig. 2). Questi sistemi possono essere visti come "scatole" di dimensioni nanometriche utilizzabili, ad esempio, per il rilascio controllato di piccole molecole racchiuse nelle cavità della struttura dendritica.
Fig. 2: Una scatola molecolare che può essere aperta e chiusa per azione della luce.
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Credit: Gruppo di Fotochimica e Chimica Supramolecolare, Università di Bologna)
 

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