<<Questo animale è
una macchina perfetta, un vero miracolo dell'evoluzione. Non fa
altro che nuotare, mangiare, e produrre piccoli squali.
Nient'altro.>>
Sono d'accordo con
la prima parte.
L'animale squalo è una macchina perfetta e dal punto di vista
evolutivo è stupefacente. Lo si legge spesso e lo si ascolta
altrettanto frequentemente in televisione.
In quanto al resto della battuta, le parole
rimanevano comunque nella mia mente. Poco importava se
razionalmente sapevo che il rischio era piuttosto basso, e che
probabilmente si sarebbe trattato di un comune pinna bianca di
barriera.
Comunque ci ripensai e mi buttai dal gommone
insieme agli altri.
Innanzitutto lo squalo non era affatto di 3
metri ma penso che fosse intorno al metro e settanta,
ed era proprio un pinna bianca.
Macchina perfetta: è bastato guardarlo per qualche
secondo mentre passava velocemente sotto di me per
confermarmelo. Anche se questa affermazione è "poco
scientifica" rende bene l'idea di quanto segue.
L'evoluzione del taxa degli Elasmobranchi, al quale
appartengono appunto squali e razze, inizia al
principio del Devoniano, cioè circa 395 milioni di
anni fa. Il primo elasmobranco (sottoclasse Elasmobranchii)
si evolve all'interno della classe dei Chondrichthyes
(letteralmente "pesci cartilaginei", privi cioè di uno
scheletro osseo ma con cartilagini che adempiono alla
medesima funzione).
Non si
sa ancora quale sia l'antenato diretto dei pesci
cartilaginei, comunque va tenuto presente un aspetto
importante: i pesci ossei si svilupparono
contemporaneamente ai pesci cartilaginei!
Lo scheletro cartilagineo che possiedono tuttora gli
squali e le chimere (sottoclasse Holocephali,
di cui è stata descritta una nuova specie,
Hydrolagus alphus scoperta proprio alle Galàpagos
nel 2006) non è quindi da intendersi come un carattere
"primitivo", qualunque sia il significato che vogliamo
attribuire a questo termine. Anzi: la cartilagine
degli squali è derivata da una perdita nella
capacità di ossificazione dei tessuti scheletrici.
Sebbene
i primissimi squali fossero piuttosto diversi dagli
attuali, su una cosa si è concordi: circa 100 milioni
di anni fa, nel Cretaceo, vi fu una
radiazione adattativa che produsse i
Neoselachi, da cui si svilupparono gli attuali
ordini di elasmobranchi e si originarono i
raggruppamenti grossolani "squali" e "razze" (che
sono squali adattati a vivere sul fondo).
Sembra anche che questa radiazione sia stata
scatenata, a sua volta, dalla contemporanea radiazione
dei pesci ossei che costituirono nuove risorse
alimentari per gli squali; ciò indusse una spinta
evolutiva verso forme di predazione specializzate.
Qualcuno pensa addirittura
che l'attuale squalo bianco (Carcharodon
carcharias), non sia altro che la versione "in miniatura"
(stessa specie) del Carcharodon (Carcharocles) megalodon, di cui possiamo vedere
le gigantesche fauci entrando al nostro Museo dell'Evoluzione in
via Selmi a Bologna.
La presa di coscienza di
questi dati spazza via la tanto diffusa quanto errata convinzione
secondo la quale l'evoluzione sarebbe un processo costante e teso
a un non meglio precisato obiettivo, per fare posto alla vera e
corretta interpretazione dell'evoluzione: cioè una serie
contingente e improbabile di eventi, la cui rappresentazione
sarebbe più simile a un
cespuglio con ramificazioni asimmetriche piuttosto che a una scala o a una retta inclinata verso l'alto o
una parabola ascendente.
Sono andato alle Galàpagos
documentandomi sugli animali più famosi in virtù del loro tasso
di endemismo, i rettili in primis (quindi nella maggior
parte dei casi legati alla terraferma). Isolati dai progenitori del
continente, questi sono
diventati specie a sè stanti, differenziandosi in
sottospecie caratteristiche delle diverse isole e dei diversi
ambienti.
Ma le Galàpagos sono le Galàpagos: nemmeno gli elasmobranchi, che
sono rappresentati in una quindicina di specie tra squali e
razze, si sono sottratti del tutto all'endemismo: lo squalo della
specie Heterodontus
quoyi, che ha come caratteristica principale di possedere
denti differenziati, è infatti endemico dell'arcipelago.
A Devil's Crown, un gruppo circolare di scogli derivato da un
vecchio cratere al largo di Punta Cormorant (isola Floreana) vidi
un altro pinna bianca, e all'isola di Bartolomè un gruppo di
quattro giovani squali di un'altra specie, presumibilmente
carcarini delle Galàpagos (Carcharhinus galapagensis). Da un avvistamento all'altro, il mio interesse
per questi animali non ha fatto altro che crescere. E a ragione.
La ricerca sugli
elasmobranchi, infatti, è un campo molto "caldo". La difficoltà nel loro
studio è grande in tutti i campi: i paleontologi devono fare i
conti con la difficoltà di fossilizzazione di uno scheletro non
osseo (abbiamo quasi solo denti) e i biologi con le difficoltà
intrinseche nell'osservare e campionare animali così difficili da
trattare. Ma questo comporta, per
contro, sempre nuove sorprese: non solo vengono descritte spesso
nuove specie degli abissi, ma anche i particolari della loro
specializzazione (dai raffinati organi di senso, alle modalità
riproduttive, al loro sistema immunitario).
Ad esempio: partendo dal
presupposto che gli squali pelagici nuotano più velocemente di
quanto consentirebbe l'eccessiva flessibilità del loro scheletro
cartilagineo, si è giunti a scoprire che sono in grado di
modificare la
rigidità del corpo "pressurizzando" la loro pelle.
Ripensando a tutta
l'esperienza non posso fare altro che prendere atto del fatto
che, con buona pace di leoni marini, tartarughe e iguane, alle islas encantadas sono stati gli squali a folgorarmi.
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