Razze Umane: classificare la gente o comprendere la biodiversità? Guido Barbujani Esistono le razze nella popolazione umana? Nessuno ha mai (almeno esplicitamente), osato metterlo in dubbio prima del 1962 quando F.B. Livingstone ha pubblicato su Current Anthropology un articolo dal titolo "On the nonexistence of human races". Certo è che quello dell’esistenza della razze umane rappresenta un problema spinoso e che il concetto di razza è in qualche modo elusivo. Sconcerta infatti, tra coloro che dell’esistenza delle razze sono (o erano) convinti, la totale mancanza di accordo sul loro numero e sui confini che le separano. Sembra quasi che i criteri, proposti dai vari autori a sostegno di queste tesi, siano così labili e aleatori da non garantire neanche un minimo di omogeneità nella determinazione delle entità che si pretende essere gruppi biologici naturali. Anche i moderni studi genetici condotti su vasta scala sembrano incrinare l’ipotesi di una specie umana multirazziale a causa della loro incapacità di associare insiemi di individui geneticamente distinti a presunte etichette razziali. L’idea alla base di questi studi presuppone da un lato la possibilità di misurare la variabilità genetica nella specie umana, dall’altro l’impossibilità di attribuire, in modo univoco, un individuo ad una razza sulla base del suo genotipo. Nell’uno e nell’altro caso la risposta non può prescindere dal ricorso alla logica e al metodo statistico che trova nell’esistenza della variabilità la sua ragion d’essere e nella misura e interpretazione delle differenze una delle sue massime espressioni. Gli studi, che combinano genetica e statistica, hanno mostrato l’esistenza di una struttura geografica nella variabilità del genoma umano, ma non sono stati in grado di provare l’esistenza di confini genetici definiti fra gruppi umani, evidenziando invece un gradiente nella distribuzione delle frequenze alleliche su gran parte del pianeta che sembra identificare nel flusso genico, e non nell’isolamento, la principale forza evolutiva che genera la variabilità nel genoma umano. Anche su questo tema Darwin aveva precorso i tempi, quando iniziando il capitolo sulle razze umane, nel suo volume "The descent of man", le definiva innanzitutto “cosiddette razze”, o quando indicava come non coerente con l’idea stessa di evoluzione la tesi dell’esistenza di specie umane distinte. A cura di : Facoltà di Scienze Statistiche, Università di Bologna - Locandina del seminario
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