Lo tsunami del 26 dicembre 2004La causa dello
tsunami di Sumatra del 26 dicembre 2004 che ha investito tutto l'Oceano Indiano
è stato un terremoto molto violento di magnitudo pari a 9,3 della scala Richter.
È stato il terremoto più grosso registrato dopo quello Cileno del 22 maggio 1960
di magnitudo 9,5. Esso ha avuto origine alle ore 00:58:53 GMT (7:58:53 AM
locale), su una faglia in zona di subduzione tra la placca Indo-Australiana e la
placca di Burma (che fa parte della grande placca Euro-Asiatica (vedi figura 1),
con ipocentro alla profondità di circa
30 km, a 160 km a est di Sumatra. L'epicentro ha latitudine 3° 19' N e longitudine 96°
E (vedi stella verde con indicazione 2004 in
figura 1). Come si può facilmente dedurre questa è una zona ad alto rischio
sismico.
La grandezza del maremoto dipende soprattutto dall'estensione della faglia su cui si è verificato e dallo spostamento verticale del fondale oceanico. La faglia in questione ha una lunghezza di circa 1200 km, quasi quanto la lunghezza dell'Italia, e lo spostamento sulla faglia varia mediamente tra i 5 e i 10 m. Il maremoto ha impiegato tempi diversi per raggiungere i vari paesi. Come abbiamo già detto, la velocità è funzione crescente della profondità del mare, e quindi in mari più profondi l'onda ha viaggiato più velocemente. Il Gruppo di Ricerca sui Maremoti dell'Università di Bologna ha calcolato le velocità di propagazione dello tsunami (vedi figura 2). Le zone vicino a costa sono di colore blu (velocità minima), quelle corrispondenti al mare aperto sono in rosso (velocità massima), e sono naturalmente le zone più profonde dell'Oceano Indiano.
Sappiamo che dopo 15-20 minuti lo tsunami aveva già attaccato la parte settentrionale dell'isola di Sumatra, dopo un'ora e mezzo la Tailandia, dopo circa due ore aveva raggiunto le coste dell'India e dello Sri Lanka, facendo in tutto quasi 290 mila morti (vedi figura 3). Come per tutte le grandi catastrofi, il bilancio definitivo delle vittime non sarà mai completato.
Le foto satellitari scattate prima e alcuni giorni dopo la catastrofe testimoniano l'effetto distruttivo del maremoto. In Figura 4 le città di Banda Aceh a Sumatra e di Kao Lak in Tailandia sono evidenziate negli inserti; è chiaramente visibile la distruzione nell'entroterra fino ad alcuni chilometri dalla costa.
Il Gruppo di Ricerca Maremoti dell'Università di Bologna ha sviluppato programmi numerici in grado di simulare maremoti prodotti da terremoti. Come dati di ingresso essi richiedono la batimetria del bacino e i parametri che descrivono il meccanismo del terremoto. Le simulazioni numeriche possono anche essere utilizzate a ritroso, per ricavare informazioni sulla faglia che ha provocato lo tsunami partendo dalla conoscenza degli effetti. Nel caso del terremoto di Sumatra per alcuni giorni dopo l'evento i sismologi non sono riusciti ad avere indicazioni sicure sulla lunghezza della faglia. Stando alle prime elaborazioni, poteva trattarsi di una faglia che si estendeva da Sumatra fino alle isole Andamane a nord, lunga quasi 1200 km, (Figura 5a) o anche di una faglia lunga soltanto qualche centinaio di chilometri a NO di Sumatra (Figura 5b). Le due faglie sono molto differenti tra loro, come del resto anche gli tsunami che ne conseguono. Utilizzando i programmi di simulazione di tsunami si capisce che la seconda faglia produce un maremoto assai diverso da quello che si è verificato, mentre la faglia più lunga dà luogo ad un maremoto più vicino alla realtà, e si conclude quindi che l'ipotesi della faglia meno estesa deve essere rigettata. Questa conclusione fu raggiunta poche ore dopo il verificarsi del maremoto ed ha anticipato i risultati dei sismologi.
In realtà, bollettini relativi alla possibilità che si verificasse un maremoto sono stati diramati dal PTWC (Pacific Tsunami Warning Center), Centro di Allarme Tsunami nel Pacifico, che, una volta rilevato il terremoto, aveva diffuso due bollettini a distanza di 45 minuti l'uno dall'altro: il primo dopo 15 minuti dal terremoto segnalava una magnitudo inferiore a quella reale e non rilevava la possibilità di un maremoto nell'Oceano Indiano anche se nel frattempo lo tsunami aveva già investito la parte settentrionale di Sumatra e le isole Nicobare (v.figura 6a).
Dopo un'ora dal terremoto un secondo bollettino era stato inviato in cui la magnitudo del terremoto veniva corretta e in cui si affermava che non vi era rischio maremoto se non nella zona vicino all'epicentro (v.figura 6b).
Ma che cosa non ha
funzionato?
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