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Il nostro viaggio in Perù ci ha permesso di visitare luoghi
diversissimi quanto suggestivi, lasciandoci un bagaglio di
esperienze nel segno della biodiversità – come lo stesso Darwin
avrebbe certamente potuto apprezzare. È nell'occhio di un
naturalista, d'altronde, che una tale ricchezza di stimoli crea
il senso del cambiamento e di come la vita e l'ambiente si
strutturano vicendevolmente; il continuo divenire che è
l'evoluzione.
Il Perù comprende tre
regioni fondamentali: costa, sierra e selva.
La costa, dal clima arido e secco, è spazzata dai venti oceanici
e lambita dalla corrente di Humboldt. Tutta la Panamericana, la
strada che percorre ininterrotta la fascia costiero pacifica
del sudamerica, si snoda su scenari desertici. A Ica abbiamo
potuto fare un'escursione sulle dune di un vero deserto di
sabbia, inaspettato spazio aperto incastonato tra le Ande e il
mare. |
Sulla costa è predominante la cucina legata al pesce e la
coltivazione di vegetali adattati alla scarsità di pioggia, come
l'asparago e il limone.
Dopo
essere scesi lungo la costa abbiamo affrontato la salita della
cordigliera. Sulla catena di cime e altopiani andini, che
seguono anch'essi una fascia longitudinale su tutto il paese, si
trova l'ambiente della sierra, ossia del monte.
Anche questo è un ambiente abbastanza estremo: l'elevata
altitudine suggerisce necessari adattamenti funzionali da parte
degli organismi viventi. Abbiamo testato su noi stessi gli
effetti della scarsità di ossigeno per gli esseri umani: si
tratta del mal d'altura, il cosiddetto "soroche". I sintomi sono
vari e comprendono nausea, giramenti di testa, dolore alle tempie
e generale tachicardia, e sono tutti dovuti alla difficoltà di
compensare l'assorbimento di ossigeno da parte dell'organismo,
sottoposto a una pressione parziale nettamente inferiore a quella
percepita.
Tuttavia le rive del Titicaca, il lago più alto del mondo (3821m
slm) sono piuttosto popolate: come può l'uomo resistere in queste
condizioni?
E cosa lo ha spinto ad avventurarsi su tali ostili
altitudini, fino a costruire uno straordinario impero come quello
degli Inca?
La scelta dei luoghi si spiega da sé, nell'incanto paesaggistico
dato dagli sconfinati altipiani del Titicaca o dalle strette
valli boscose della Valle Sagrada, ma c'è di più: ad alta quota
la radiazione ultravioletta è tale da impedire la crescita di
molti batteri e quindi rendere l'ambiente più salubre.
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La risposta a come possano sopravvivere, invece, sta in alcuni
particolari adattamenti fisiologici e costitutivi osservati nei
Quechua e negli Aymara, le popolazioni locali. Innanzitutto il
primo filtro è stato un'autoselezione da parte di coloro che
inizialmente si sono recati alle alte quote: chi non resisteva
semplicemente rinunciava e scendeva. Altre caratteristiche sono
state rilevate negli attuali abitanti: adattamenti ematologici
ormai acquisiti, tra cui un'alta concentrazione delle emoglobine
che sono più piccole per aumentare la superficie disponibile al
legame con l'ossigeno. Riguardo alla struttura corporea è diffusa
una forma del torace "a botte", poiché un'ampia circonferenza
toracica consente una maggiore capacità polmonare; il naso è
leptorrinico, vale a dire stretto e alto, per favorire
l'umidificazione dell'aria inspirata che ad alta quota è fredda e
secca, e il colore della pelle è piuttosto scuro perché i raggi
UV arrivano in modo più diretto. Ancora più interessanti sono gli
adattamenti culturali, legati soprattutto alle necessità
agricole.
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L'altopiano è poco produttivo perché privo di humus; a 5000m
cresce solo la patata (in 400 varietà diverse), a 3600-4000m si
trovano quinoa e orzo, mentre a 2400-3600m è possibile coltivare
manioca, mais, avocado, peperoni, fagioli, zucche e patate. Le
moderne tecnologie in campo agricolo non possono fare nulla in
questi luoghi così impervi, quindi continua a prevalere la
saggezza millenaria degli Inca – che già conoscevano le varietà
di piante meglio adattate grazie ad avanzate ricerche in
agronomia. L'animale più importante è il lama, un camelide
addomesticato già 6000 anni fa discendente da un parente
selvatico, il guanaco; segue l'alpaca, un altro camelide molto
affine, ma di maggior pregio per la carne più tenera e per la
lana di qualità rinomata.
Per ultimo, ci siamo
avventurati nella selva: a contatto con la vera foresta pluviale
che degrada verso il bacino amazzonico. Le asperità dell'ambiente
qui sono legate all'elevata piovosità, che rende difficoltose le
vie di comunicazione e peculiare la struttura del suolo, dal
quale i nutrienti vengono dilavati con facilità: perciò le
coltivazioni devono seguire cicli che ne permettano il
mantenimento. L'impenetrabile giungla ha conservato in isolamento
le comunità umane più di quanto abbia fatto la struttura
montuosa, ove la cordigliera ha reso relativamente più facile la
formazione e il mantenimento dei contatti da parte di diversi
gruppi. Il risultato è che il quechua, lingua che fu diffusa
dagli Inca per l'estensione di tutto l'impero, è parlato più o
meno in tutto il Perù, dal nord al sud, come seconda lingua dopo
il Castellano (spagnolo); nella selva invece si contano fino a 38
dialetti diversi. È qui che abbiamo trovato la biodiversità nella
sua espressione massima: è davvero l'ambiente con il più alto
numero di specie del mondo! In questo apparente caos
ecosistemico, gli indigeni hanno saputo muoversi inserendosi nei
ritmi quotidiani con un impatto ambientale decisamente lontano da
quello espresso dalla nostra cultura, consapevoli che l'unica
soluzione per non venire schiacciati da tale forza consiste
nell'allearsi con la natura stessa.
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